I folletti

 

 

Un estratto dall’originale   

 

 

 

 

 

I FOLLETTI DELL’ALPE VECCHIO

 

raccontata da Rino Cometta il 5 febbraio 1998

 

 

L’alpe vecchio quasi nessuno se la ricorda. Solo qualche vecchio cacciatore o qualche appassionato cercatore di funghi sanno ancora dove, nascoste tra cespugli ed erbacce, si trovano le tracce della vecchia costruzione: qualche gradino, qualche stipite, la pietra del focolare e nulla più di quello che, a un tempo, era l’alpe più vasto e redditizio della zona. Quando fu fissato definitivamente il confine tra Svizzera e Italia risultò che, mentre la costruzione era dalla parte Svizzera, la maggior parte dei pascoli era da quella Italiana, trasformati poi in una pineta. L’alpe venne abbandonato, le costruzioni caddero in rovina e parte del materiale venne usata per l’alpe nuovo [Alpe Pianca], situato più in basso, tutto su territorio svizzero.

Sull’alpe vecchio andava, ogni primavera un alpigiano alto e solido, con la sua famiglia e le sue bestie e vi restava fino a fine ottobre. Non scendeva mai a valle per tutto il periodo. Un anno però dovette cambiare abitudine e scendere nel bel mezzo dell’estate. Fu quando sull’alpe giunse la mala genia dei folletti. Installatisi lassù, i folletti non si accontentarono di disturbare la quiete del luogo con urla e schiamazzi, ma iniziarono a molestare anche le bestie.

 

Nelle notti di luna piena, infatti, questi esseri di solito burloni, presero l’abitudine di legare fra loro le bestie con le code, mentre vagavano al pascolo. Le povere vacche cercavano di liberarsi, ma più tiravano più il nodo si stringeva e loro restavano sul posto malgrado tutti gli sforzi per liberarsi.
Cominciavano allora a muggire lamentosamente svegl
iando tutti gli abitanti dell’alpe.
 

 

 

Sbalorditi e increduli, gli alpigiani faticavano non poco a slegare le povere bestie. Siccome lo scherzo si ripeteva ogni plenilunio, il vecchio dell’alpe decise di scendere anche se era solo mezza estate per andare a chiedere consiglio al priore dei frati di [Sant’Evasio] verso Pugerna, portandogli in dono alcune formagelle di sua produzione.

 

 

 

Il priore, udita la storia, si ricordò che il Signore aveva castigati i folletti per le loro malefatte obbligandoli a raccogliere anche il più piccolo grano che fosse stato sparso sul terreno. Invitò quindi l’alpigiano a far sparpagliare nel pascolo, il giorno prima del plenilunio, manciate di miglio e di panico. I folletti, obbligati a raccogliere ogni granello avrebbero avuto un tale male di schiena da indurli a lasciare in fretta la zona. Ringraziato il priore, l’alpigiano ritornò al suo alpe e, giunto il tempo, sebbene a malincuore perchè il panico serviva, con i suoi granelli, a preparare una squisita minestra chiamata panigada, ordinò che si spargessero granelli di panico su tutto il pascolo. La notte, mentre le mucche vagavano tranquille, l’alpigiano che stava all'erta vide vaghe ombre correre e chinarsi nel pascolo emettendo lamentosi gnaulii: erano i folletti costretti alla dura fatica di raccogliere tutti i granelli. Dopo quella notte le bestie non vennero più tormentate e all’alpe vecchio, di folletti non si sentì più parlare.


 

Ma la storia dei folletti in Val Mara non è finita qui, dopo diversi secoli, quando dell’alpe ormai c’erano soltanto le rovine, i folletti ritornarono per vendicarsi su un giovane discendente del vecchio dell’alpe.

Questo giovane aitante, scendeva sovente al piano per cercare l’anima gemella e ritornava, a notte fonda, con la sua rombante motocicletta. Una sera, giunto nella zona boscosa e impervia chiamata Abícc, sentì qualcuno, balzato sul sedile posteriore della moto, che cercava di abbracciarlo. Assai turbato, il giovane, appena giunto alla cappella del Santo Crocifisso fece un frettoloso ma fervente segno di croce. Nello stesso istante l’ospite del sedile posteriore aveva lasciato il suo posto ed era scomparso. La faccenda si ripeté parecchie volte fino a quando, il giovane, stanco di essere tormentato andò a cercare la compagna della sua vita in altre direzioni. Siccome però aveva raccontato a tutti la sua storia, gli rimase il soprannome Fulett.

 

La  storia finisce qui.

Il racconto è favoloso e così aggiungo:

Ma dopo tanti anni il Fulett è riapparso sull'Alpe Vecchio per accertarsi se i mitici esseri siano davvero spariti. fedeoo

 

Rino Cometta 05.09.2002

Ringrazio il signor Rino Cometta per l'invio del racconto e per aver acconsentito alla sua pubblicazione